08 settembre 2011

Sfide - Monkey See Monkey Do VS Kragmortha

Sfide - Monkey See Monkey Do VS Kragmortha

Dopo tante risatone fatte insieme a due card game sfrontati ed allegri, veniamo a una sfida che vede contrapporsi due giochi ancora più sfrontati ed allegri, appartenenti alla temuta categoria dei Party Games, e in particolar modo ai Party Games che tecnicamente vengono definiti umilianti.

Monkey See Monkey Do si fa avanti forte del background: il team di autori, infatti, è lo stesso di Goblins, il gioco dal design peggiore degli ultimi quarant’anni. I baldi parvenu del mondo ludico ci riprovano: Monkey See Monkey Do ci stupirà per un sacco di motivi, ma soprattutto per la brillante idea che sta dietro al gioco.

Kragmortha si fa avanti col suo nome impronunciabile e tanta voglia di emergere. Gioco “ambientato” nel mondo di Rigor Mortis, un personaggio fantasy italiano, si avvale di un team creativo ancor più nutrito di quello del gioco della Cranio Creations. L’esercito di autori è una garanzia: Kragmortha ci stupirà per un sacco di motivi, ma soprattutto per la brillante idea che sta dietro al gioco.

Stavolta partiamo da grafica e materiali perchè, come per magia, in entrambi i casi i disegnatori (Maiocchi da un lato, Riccardo Crosa dall’altro) hanno anche partecipato al design del gioco. “E si vede!” diranno in coro i miei piccoli lettori. Cattivi! I team creativi sanno quello che fanno!

Veniamo al dunque. Monkey See Monkey Do ha una grafica un po’ confusa ma decisamente divertente. Le scimmie suscitano ilarità già dopo il terzo stravecchio e in generale il gioco, dai colori accesi, si lascia guardare. Materiali nella norma: carte di qualità non eccezionale e cubetti di legno. Menzione d’onore per la Banana del Potere, un oggetto sessuale mancato che ha la straordinaria capacità di spezzarsi a metà entro la prima partita. Prezzo quasi onesto.

Il comparto visivo di Kragmortha è molto gradevole, lo stile pulito di Crosa aiuta non poco, e i grafici fanno un buon lavoro. I materiali sono un po’ sottili ma tutto sommato dignitosi, per le carte si poteva fare di meglio ma non sono neanche troppo male. Il prezzo, però, è decisamente troppo alto: viene da chiedersi se l’IVA non sia stata aggiunta più volte.

E ora passiamo alla sostanza. Monkey See Monkey Do, inutile girarci intorno, è il gioco dei mimi condito con illustrazioni deliranti che “suggeriscono” la cosa da mimare. La meccanica di assegnazione di punti e penalità trascina il giocatore in una spirale in cui fare punti equivale ad autoinfliggersi l’obbligo di stare in posizioni scomode, dolorose e spesso umilianti. Ogni fibra del vostro corpo si ribellerà all’idea di sottoporvi a quello strazio, che dovrete sopportare per colpa vostra, e solo al quinto stravecchio, biascicando un inconsistente “chi è causa del suo mal pianga sè stesso”, stramazzerete al suolo ponendo fine alla tortura.

Kragmortha riprende il concetto di base da Curses! di Brian Tisman, che a sua volta altro non era che la “scatolizzazione” del gioco delle penitenze. Grazie probabilmente al “mestiere” di Walter Obert il mix però regge: ok, è il gioco delle penitenze, ma è vestito molto bene.

La cosa che probabilmente dà modo a Kragmortha di sfangarla è che le punizioni, per quanto cattive, vengono inflitte dal gioco e non in maniera riflessiva. Il gioco non cade nel clamoroso errore di Monkey See Monkey Do, che è “costringere i giocatori a farsi male da soli”, cosa che forse qualche masochista trova divertente ma che, di norma, non rientra nelle attività preferite dell’essere umano.

Insomma: Kragmortha è fatto con molto più mestiere, anche se, come già detto, quel mestiere lo pagate caro.
Non che Kragmortha sia esente da difetti. Nella strabiliante ottica di “vario è bello”, le penitenze sono del tutto sbilanciate. Un conto è tenere una carta sotto l’ascella (si rovina la carta), un conto è non poter più chiudere la bocca (si lesiona il muscolo che muove la mandibola, e la salivazione incontrollata può risultare fastidiosa). Ecco, questa storia per cui “è un party game, sbilanciamolo che fa ridere” è una palla che non ho mai capito del tutto, anche perchè non ho mai sentito nessuno dire “wow, questo gioco è bilanciato male un casino bene”.

Veniamo al dunque.
Davvero c’importa sapere chi vince fra il gioco dei mimi e il gioco delle penitenze?
Direi che, anziché un canonico KO tecnico, questo scontro ci dà la possibilità di imparare qualcosa, di fare nostra una piccola sentenza morale che accompagnerà le nostre partite nei prossimi mesi:
“Un autore può fare degli errori, ma ne servono almeno quattro per fare davvero casino.”

Mr. Black Pawn

Fonte: Il Puzzillo

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